Motor imagery e Psicologia dello Sport

 Dott. Luca MAZZUCCO


Nella psicologia dello sport possono avere benefici esperienze di visual imagery centrate su stimoli esterni e motor imagery centrate su stati interni.


1 - DEFINIZIONE DI IMAGERY E MOTOR IMAGERY

“L'immaginazione è più importante della conoscenza”, citava Einstein nel 1929.

Beck (2014) ha dichiarato: “Nello sviluppare una teoria cognitiva della psicopatologia mi sono inizialmente basato sulla capacità dei miei pazienti di condividere le proprie percezioni interne, cosa decisamente favorita dall'imagery”.

Queste due affermazioni evidenziano il ruolo positivo che l’imagery può ricoprire nell’affrontare la psicopatologia ma anche le sfide quotidiane.

L’imagery può essere definita come una “esperienza quasi-sensoriale e quasi-percettiva che avviene in assenza di condizione stimolo esterna” (Kosslyn, Ganis & Thompson,  2001). Si tratta di un’esperienza che può risultare estremamente reale, tanto da spingere Conway (2001) a definirla “simil-esperienziale", grazie alle sua qualità sensoriali, alle emozioni che la accompagnano ed alle credenze metacognitive dei soggetti riguardanti il significato delle immagini elaborate.

Esistono diverse tipologie di imagery. Munzert e collaboratori (2009) distinguono tra “visual imagery” (VI), centrata su aspetti esterni, con un’attenzione particolare alla relazione tra corpo e ambiente e “motor imagery” (MI), focalizzata sugli stati interni e con un’attenzione diretta ai propri movimenti e all’agenticità delle proprie azioni. Gli autori sottolineano come le immagini visive possono coinvolgere tutti i sensi, mentre le immagini dinamiche dell’atto motorio si concentrano principalmente su cinestetica e/o informazioni visive.

La Motor Imagery (MI) costituisce uno strumento centrale dell’allenamento sportivo e viene definita da Moran e collaboratori (2012) come una “capacità cognitiva che permette un’esperienza motoria in assenza di alcuna attivazione muscolare”.

Ridderinkhof e Brass (2015), in un importante lavoro di sintesi, mettono in luce alcuni aspetti fondamentali della MI:

  • la MI si basa sull’attivazione interna di un’immagine anticipatoria degli effetti generati dall’azione specifica
  • tale rappresentazione motoria conduce ad un processo di emulazione interna delle azioni motorie pianificate molto simile a ciò che avviene nella realtà
  • il confronto tra gli effetti dell’azione anticipata e gli effetti dell’emulazione interna può generare un segnale di errore che costituisce la base per il miglioramento della prestazione motoria, anche senza l’esecuzione del movimento reale
  • tale meccanismo evolutivo avverrebbe in regioni cerebrali sovrapponibili a quelle coinvolte nell’azione motoria reale.

2 – MI, EFFETTO CARPENTER, EQUIVALENZA FUNZIONALE E CORRELATI NEURALI

La Teoria Psiconeuromuscolare (Carpenter, 1894) ha cercato di spiegare il funzionamento della MI secondo il principio ideomotorio definito «effetto Carpenter». Tale effetto sostiene che il cervello dell'atleta che esegue la MI, invia configurazioni di impulsi neuromuscolari simili a quelli originati durante l’esecuzione reale del medesimo comportamento motorio, fornendo un feedback neuromuscolare che permette aggiustamenti al programma motorio stesso. Questo processo di “attivazione specifica”, eseguito in assenza di movimento reale, ma rilevabile attraverso misure del potenziale elettrico muscolare (EMG) sui muscoli interessati dall'attività immaginativa, faciliterebbe l'apprendimento di abilità motorie.

Pascual-Leone e collaboratori (1995) hanno rilevato che le modificazioni nella mappa della corteccia sensomotoria dopo un training MI sono simili a quelle ottenute con esercizio fisico.

Kosslyn e collaboratori (2001), partendo dai risultati di numerosi studi di brain imaging (fMRI e EEG), hanno proposto la teoria della “equivalenza funzionale" secondo la quale VI e MI reclutano strutture e/o processi neurali simili alla reale attività di percezione visiva e di attività motoria. Tale evidenza sostiene inoltre il ruolo che l’attività di imagery può ricoprire nel controllo delle emozioni associate alle attività coinvolte.

Munzert e collaboratori (2009) sottolineano che le aree corticali coinvolte in un compito motorio sono numerose (corteccia motoria primaria (M1), area motoria supplementare (SMA), area motoria presupplementare (pre-SMA), le porzioni ventrali e dorsali della corteccia premotoria (PMC)), che tali aree sono strettamente legate a cervelletto e gangli della base e che altre aree sono importanti per l’esecuzione motoria (corteccia somatosensoriale primaria (S1) e parte del lobo parietale, in particolare la corteccia parietale superiore ed inferiore). Recenti studi hanno rilevato che tali aree sono attivate sia dalla MI sia dall’esecuzione reale del movimento motorio immaginato (Munzert, Loreya & Zentgrafa, 2009).

Porro e collaboratori (1996) sottolineano però che la corteccia motoria primaria (M1), durante la MI, presenta un’attivazione con intensità ridotta rispetto all’esecuzione reale, mettendo in luce come la differenza tra l’attività cerebrale durante la MI e durante l’esecuzione della stessa attività motoria sia esclusivamente di tipo quantitativo e non qualitativo.

3 - MI: ESPERTI VS NOVIZI

Esiste però una differenza nell’equivalenza funzionale tra MI e esperienza motoria reale che dipende dalle caratteristiche del soggetto, specificate da Jeannerod (2006) e Milton e collaboratori (2008):

  • capacità di immaginazione
  • esperienza relativa al determinato compito motorio
  • attenzione selettiva (tipicamente il novizio utilizza un livello di attenzione troppo elevato o eccessivamente ridotto)
  • interazione tra sistema limbico e cognitivo (una maggiore attivazione del sistema limbico è associato ad una ridotta attività nelle aree cerebrali coinvolte nella pianificazione motoria e nel meccanismo di ricompensa)

A supporto di tale ipotesi risulta importante il lavoro di Lotze e collaboratori (2001) che hanno rilevato come i pazienti con amputazione dell'arto superiore, durante la MI della mano fantasma, mostrino un’attivazione della corteccia motoria contro laterale, cosa che non avviene in soggetti nati senza il braccio e che quindi non hanno potuto maturare l’esperienza relativa all’uso dell’arto mancante. Anche Wei e Luo (2010), attraverso studi fMRI, hanno rilevato che gli sportivi esperti, rispetto ai novizi, durante la MI relativa al loro sport, presentano una maggiore attivazione del paraippocampo e dell’area prefrontale, aree rilevanti per la rappresentazione ed il controllo motorio. Nessuna differenza emerge invece se la MI riguarda azioni non specifiche di quel determinato sport. In definitiva, maggiore è l’esperienza in una determinate attività motoria, maggiore è il risultato della MI relativa ad essa.

4 - LE DIMENSIONI DELL'ABILITÀ IMMAGINATIVA

L’acquisizione della capacità immaginativa richiede un allenamento sistematico, che deve basarsi sulle caratteristiche fondanti della Imagery, che Conway e Pleydell-Pearce (2000) riassumono in:

  • vividezza delle immagini (chiarezza, forma e ricchezza sensoriale con cui l’immagine motoria viene costruita)
  • controllo delle immagini (facilità e accuratezza con cui l'immagine può essere trasformata e manipolata a livello mentale)
  • immagine negativa (associata alla psicopatologia e ad immagini intrusive)
  • immagine positiva (usata per simulare ed esercitare modalità più adattive di agire)
  • immagine creata volontariamente
  • immagine recuperata involontariamente (tipicamente un ricordo che emerge spontaneamente)
  • first-person perspective (1PP) (il soggetto immagina di eseguire l’azione osservando tramite i propri occhi e usando tutti i propri sensi, come se avesse una videocamera posizionata sulla propria testa)
  • third-person perspective (3PP) (il soggetto immagina di osservare l’azione dall’esterno, come se una videocamera riprendesse un film di cui è protagonista).

In pratica non si tratta semplicemente di sviluppare la capacità di “vedere”, ma di “sentire” tutta la ricchezza sensoriale dello stimolo e i suoi correlati cognitivi ed emotivi, evitando l’insorgere di immagini involontarie e negative in grado di rendere l’esperienza di imagery iatrogena. Un valido esempio in tale senso è rappresentato dal DPTS, dove l’imagery è negativa, involontaria ed estremamente vivida e angosciante, arrivando anche ad assumere la forma di un vero e proprio flashback dissociativo, in cui il soggetto perde il contatto con la realtà attuale e rivive quanto accaduto nell'evento traumatico (Van der Kolk, 1994).

È quindi evidente che un utilizzo errato della MI può avere esiti negativi.

5 – UTILIZZO DELLA MOTOR IMAGERY

Jones e Stuth (1997) evidenziano che la MI è tipicamente utilizzata da:

  • PAZIENTI per recuperare abilità motorie perse o compromesse da disturbi neurologici

Page e collaboratori (2007) hanno dimostrato che pazienti colpiti da ictus cerebrale trattati con un programma che includeva una pratica motoria sia fisica che mentale, dimostravano una riduzione significativamente maggiore della menomazione dell’arto, rispetto a pazienti che eseguivano esclusivamente una pratica fisica ed esercizi di rilassamento.

  • ATLETI E ARTISTI, per migliorare la propria prestazione, regolare il proprio stato di attivazione, identificare e/o modificare pensieri e immagini maladattive (noia, scarsa autostima, bassa motivazione, limitata concentrazione), riabilitazione dagli infortuni.

Attualmente la prevalenza di utilizzo della MI riguarda l’ambito della Psicologia Positiva e della Psicologia dello Sport.

6 – MI E SPORT

Nello Sport la MI costituisce una componente fondamentale della preparazione mentale degli atleti ed il suo uso è ampiamente diffuso tra gli atleti professionisti come tecnica complementare all’allenamento sul campo. Jones e Stuth (1997) stimano infatti che tra il 70% e il 99% degli atleti di elite utilizzi la MI nei propri allenamenti in sport quali: tennis, tiro con l’arco, golf, ginnastica, sci, motociclismo, calcio e basket. Si tratta di sport molto diversi tra loro, che indicano l’adattabilità della MI alle due capacità fondamentali che uno sportivo deve possedere:

  • “closed motor skills” (es. il servizio nel tennis, il tiro a canestro nel basket, il tiro con l’arco), dove l’attività è indipendente dal contesto ambientale
  • “open motor skills” (es. la volèe nel tennis, il calcio di rigore nel calcio), dove il movimento è legato a stimoli ambientali (es. movimento della pallina, linguaggio del corpo dell’avversario).

I motivi di tale successo vanno ricercati nella forte connessione mente-corpo che caratterizza ogni sport e che rende l’uso della MI una pratica spontanea per gli atleti. Infatti:

  • 1.Ogni azione sportiva è un’attività polisensoriale
  • 2.L'atleta è allenato a percepire ogni sensazione che proviene dal corpo (tramite l’MI attiva processi che sperimenta quotidianamente, ad esempio, nel tennista l'immagine mentale del tenere una pallina in mano, avvia immediatamente il repertorio di sensazioni associate a questa situazione)
  • 3.Le sensazioni corporee guidano l'atleta in un costante processo di autoregolazione al fine di dominare la fatica, gestire gli errori, distribuire le sue energie
  • 4.L’atleta riconosce molto bene le emozioni, vissute spesso in maniera estrema durante le competizioni. Mal di stomaco, cuore in gola sono esperienze facilmente rievocabili dagli atleti.

Di conseguenza, anche a distanza di tempo (come nel DPTS), la rievocazione mentale di queste condizioni psicologiche comporterà l’attivazione di tutte le sensazioni collegate.

7 - SPORT, MI E MODELLO PETTLEP

Il protocollo di MI più utilizzato in ambito sportivo è il modello PETTLEP (fig.1) di Holmes e Collins (2001). Esso si basa sul concetto di “equivalenza funzionale” e definisce gli aspetti fondamentali per l’efficacia della sua applicazione:

  • 1.Physical (l’imagery deve essere di tipo fisico)
  • Sottolinea inoltre che far precedere una MI da una fase di rilassamento potrebbe avere ripercussioni negative sulla prestazione reale.
  • 2.Environment (il contesto immaginato deve essere simile a quello reale)
  • sottolinea la necessità di stimolare, con script opportuni o filmati, la percezione dell'atleta di trovarsi in contesti familiari (di allenamento o competizione) tali da permettergli di vivere l'esecuzione della prestazione come se realmente stesse accadendo
  • 3.Task (il compito immaginato deve essere adattato alle abilità del soggetto)
  • definisce la necessità di una «coerenza fisiologica» fra l'attività immaginativa e competenza reale dell’atleta
  • 4.Timing (I tempi di esecuzione devono essere simili a quelli reali)
  • 5.Learning (il compito deve mirare all’incremento delle capacità del soggetto)
  • sottolinea la necessità di mantenere un'equivalenza funzionale fra l'effettivo apprendimento fisico/tecnico/tattico dell'atleta e il suo processo di imagery
  • 6.Emotion (l’esperienza di imagery deve elicitare le stesse emozioni emergenti nella realtà)
  • evidenzia la rilevanza della componente emozionale dell'imagery, in grado di migliorare le risposte emozionali che l'atleta vive in setting competitivi;
  • 7.Perspective (il punto di vista 1PP è quello più adatto per la maggior parte di sport)

8 – VI, MI E RIABILITATAZIONE SPORTIVA

L'infortunio è un evento comune fra gli atleti e la gravità dell'infortunio può impedire il normale allenamento motorio.  VI e MI possono coadiuvare l'atleta ad affrontare il processo riabilitativo intervenendo su diversi aspetti :

  • GESTIONE DEL DOLORE mediante
  • Øimmagini dissociative (immagini che distraggono il pensiero dal dolore)
  • aventi l’obiettivo di far sviluppare al soggetto un'immagine mentale multisensoriale di sé, immerso in un ambiente tranquillo e rilassante (soggettivamente significativo), che potrebbe agevolare la riduzione dell'attività del sistema nervoso simpatico, consentendo una graduale diminuzione della tensione muscolare con una riduzione della distribuzione degli impulsi del dolore
  • Øimmagini associative (immagini focalizzate sul dolore)

volte a conferire al dolore delle vere e proprie proprietà fisiche (forma, dimensione, colore, movimento). Identificate le caratteristiche multisensoriali associate alla sensazione di dolore è possibile, modificandone il contenuto, trasformarle in sensazioni in grado di provocare uno stato di sollievo (ad esempio, paragonando delle fitte ad un arto a delle pugnalate inferte con la punta di un coltello acuminato è possibile immaginare che il coltello pian piano diventi spuntato fino a trasformarsi in un coltello di plastica con una conseguente riduzione della sensazione di dolore).

  • PROCESSO DI RIABILITAZIONE

l'atleta infortunato visualizza, in stato di rilassamento, immagini mentali che prevedono il superamento ottimale delle fasi utili al completo recupero fisico e di ritorno alle competizioni (mastery approach), inserendo anche rappresentazioni mentali delle proprie abilità di coping utili a superare in maniera efficace i possibili problemi reali e/o previsti (coping style of imagery) che si incontrano in fase di riabilitazione.

  • PRESTAZIONE

MI dei movimenti o azioni complesse che l'atleta infortunato non è in grado di compiere.

9 - IO, L’AZIONE E LA MI

Il successo della MI sulla prestazione sportiva reale dipende dal singolo atleta; per questo motivo è fondamentale sviluppare script personalizzati che contengano informazioni soggettivamente significative per quell’atleta.

Ronaldinho, vincitore del  Pallone d’oro 2006, dichiara: “Il mio allenamento prevede anche la creazione di un'immagine mentale di come passare al meglio la palla a un mio compagno. Lo faccio sempre, prima di ogni partita, ogni giorno e ogni notte, immaginare un modo di giocare a cui nessun altro ha pensato, tenendo sempre a mente i miei punti di forza e quelli dei miei compagni”.

Quello che segue è un esempio di script MI (basato sul modello PETTLEP) utilizzato da un atleta professionista dei 100 metri piani durante i giorni precedenti la gara e nella fase di riscaldamento (Lucidi, 2001):

Assumo una posizione comoda ... chiudo gli occhi ... faccio dei respiri profondi ... Sento i punti d'appoggio del mio corpo sul lettino ... la nuca ... le spalle ... i glutei ... i talloni.  

Ho ultimato il riscaldamento … entro in pista ... mi avvicino alla partenza dei 100 metri … sono dietro ai blocchi di partenza ...  vedo la corsia di fronte a me ... vedo il pubblico … lo sento … vedo lo starter … vedo gli avversari al mio fianco ... ho una grande voglia di correre forte … mi concentro solo su me stesso ... sento i miei muscoli pieni di energia e di forza.

Mi posiziono sui blocchi … sento il battito cardiaco che aumenta ... sento l'adrenalina che sale sento il colpo di pistola … esco dai blocchi come un'esplosione … eseguo i primi appoggi lunghi e potenti … eseguo la fase di accelerazione fluida … sento il vento sul viso ... le gambe si muovono veloci ... il traguardo è sempre più vicino … supero la linea del traguardo … respiro … mi giro verso il tabellone elettronico e leggo il risultato che attendevo … ho ottenuto la prestazione che mi aspettavo ... sento dentro di me emozioni positive

10 - IO, L’ALTRO, L’AZIONE E LA MI

Ridderinkhof e Brass (2015) evidenziano che la MI oltre a permettere di apprendere, migliorare ed affinare una propria determinata capacità motoria, potrebbe anche consentire un percorso inverso: imparare, migliorare ed affinare la nostra capacità di predire le intenzioni motorie altrui, partendo dal riconoscimento delle caratteristiche cinestetiche attuali. In tale compito ricoprirebbe un ruolo centrale il “sistema corticale dei neuroni specchio” (mirror neuron system - MNS).

La MI sarebbe quindi al centro di un “doppio processo” che permetterebbe di migliorare le attività motorie in ambito “competitivo-relazionale” come ad esempio nel parare un calcio di rigore.

Non è dai particolari che si vede un giocatore

Il calcio di rigore è spesso fondamentale per decidere le sorti di una partita di calcio.

Si tratta di un confronto impari tra rigorista e portiere, dato che statisticamente solo il 20% dei rigori viene parato (Dohmen, 2008).  Infatti, il portiere ha una sola possibilità: rispondere a ciò che vede nel tempo che intercorre tra il momento in cui la palla è colpita e il momento in cui la palla supera la linea di porta, tempo stimabile in 500-700 ms (Franks & Harvey, 1997). L’unica alternativa per il portiere sarebbe partire prima che la palla sia colpita dal rigorista, ma questo vorrebbe dire indovinare dove andrà a finire la palla, o meglio, sapere dove il tiratore pensa di voler mettere il pallone.

Memmert e collaboratori (2013) hanno individuato le caratteristiche insite nel movimento dei rigoristi prima di calciare la palla, che influenzeranno la direzione della palla stessa:

  • obliquità della rincorsa
  • orientamento e rotazione del busto,
  • orientamento e posizionamento del piede che non calcerà la palla

L'orientamento del piede di supporto in particolare, rappresenta l’aspetto maggiormente predittivo della direzione che assumerà la palla, in quanto tende a puntare nella direzione dove la palla si sta dirigendo. Savelsbergh e collaboratori (2010) hanno dimostrato che tramite l’osservazione video dei calci di rigore i portieri possono ottimizzare la loro capacità di riconoscere tali caratteristiche.

Ridderinkhof e Brass (2015) evidenziano però che il portiere non si limita ad osservare le caratteristiche cinematiche di colui che calcia il rigore, ma che collega tali caratteristiche alla propria esperienza cinestetica, esattamente come se fosse lui ad eseguire l’azione.

Il portiere ha quindi bisogno di un ricco modello generativo dell’effetto sensoriale, che può acquisire osservando molti calci di rigore realizzati da altri giocatori, ma anche acquisendo una esperienza diretta nel tiro dei calci di rigore.

In definitiva il portiere più abile sarà il portiere

  • in grado di “leggere” la cinematica del corpo dell’avversario
  • che possiede il più ricco repertorio di calci di rigore (eseguiti realmente o tramite MI)

Previsioni simili possono essere fatte per altri sport quali ad esempio la risposta nel tennis.

In conclusione, il target dell’atleta impegnato in attività di tipo “closed motor skills” è quello di utilizzare la MI al fine di affinare sempre più i propri comportamenti motori.

L’atleta impegnato anche in attività di tipo “open motor skills”, dovrà anche essere in grado di osservare i particolari dei movimenti altrui, ma soprattutto di eseguire quei determinati movimenti, diventandone un esperto.


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